IL DIALETTO
Il dialetto parlato a Mezzenile, che presenta lievi differenze tra borgata
e borgata, appartiene al gruppo francoprovenzale, e, anche se si è almeno
in piccola parte piemontesizzato e italianizzato (alla fine del '700
si scrisse invece che in esso, c'erano ben poche parole che, pronuncia
a parte, non fossero esattamente francesi), rimane molto caratteristico
e usato dalla popolazione. Vediamone qualche esempio in alcuni tipici
proverbi e modi di dire locali (la grafia usata e quella del piemontese
moderno):
Can che l'nebie o vont via da Sen Miché pijte la séssa
e lo cohé (Quando le nebbie vanno via da San Michele (Colle della Cialmetta)
prendi la falce e il molafalce (cioe ci sara tempo buono).
Can che l'nebie o vont vers Rivet, pijte lo rastel e feina
prest ( quando le nebbie vanno verso Rivet-sotto il Monte Bellavarda
prendi il rastrello e fai fieno in fretta (cioe il tempo peggiorerà).
Can che lo solei o s'basse, lo garch o s'masse (quando
il sole si abbassa, il pigro si ammazza, sottinteso di lavoro).
Sen Martin la nai p'li camin (San Martino la neve sui camini).
Sent'André la nai p'li solé (Sant'Andrea, la neve per i
solai).
En eu per l'aso e per se ch'lo tiret (ce n'e per l'asino
e per chi lo tira, cioe ce n'è per tutti).
E' miéi frustà ciossi che linsu (e meglio consumare scarpe
che lenzuola).
Chi o j'est fol a Sen Gian o j'est fol to l'an (chi e stupido
a San Giovanni e stupido tutto l'anno).
Can lo solei o vait a ren, li garch o buton men (quando
il sole tramonta, i pigri mettono mano ai loro affari).
Si ch'o scotont dré ai us o scotont li son desgust (quelli
che ascoltano dietro alle porte ascoltano i loro difetti).
O vint do roc do doseul (viene dalla roccia del gufo, cioe
"dai duemila").